21 aprile 2009

de MMDCCLXII annis ab Urbe Condita
 
Plutarco
 
Vite parallele
 
ROMOLO



[1,1] Da chi e per quale ragione sia stato dato alla città di Roma questo grande nome, diffusosi per la sua fama fra tutti gli uomini, non c'è accordo fra gli storici. Alcuni dicono che i Pelasgi, dopo aver errato per la maggior parte del mondo e aver sottomesso moltissimi popoli, s'insediarono in questa regione e per la loro forza [rhome] nelle armi così chiamarono la città. Altri narrano che, presa Troia, alcuni uomini di quella città riuscirono a fuggire e a imbarcarsi. Spinti dai venti, capitarono sulle coste tirrene e approdarono presso la foce del fiume Tevere. [2] Essendo le loro donne ormai affaticate e mal disposte a riprendere il mare, una di esse, di nome Roma, la quale sembrava eccellere su tutte le altre per nobiltà e saggezza, suggerì di dar fuoco alle navi. Ciò fatto, dapprima gli uomini si sdegnarono contro di loro, ma poi, stabilitisi per necessità nei pressi del Pallanteo, in poco tempo vennero a trovarsi in condizioni migliori di quanto si aspettassero. Sperimentata la fertilità del terreno e ben accolti dai vicini, non solo tributarono a Roma altri onori, ma dettero alla città il nome di lei, in quanto era stata la causa della sua fondazione. [3] Dicono che da allora nascesse l'uso delle donne romane, uso ancora in vigore, di salutare i loro congiunti e i loro mariti baciandoli. Quando infatti quelle dettero fuoco alle navi, così salutarono e si accattivarono i loro mariti, pregandoli e cercando di placare la lora ira.


[2,1] Altri dicono che Roma fosse figlia di Italo e di Leucaria. Altri che fosse figlia di Telefo (figlio di Ercole), andata sposa a Enea; altri di Ascanio, figlio di Enea, e che da lei fosse dato il nome alla città. Altri dicono che la città fu fondata da Romano, figlio di Ulisse e di Circe; altri da Romo, figlio di Emazione, che Diomede inviò da Troia; altri da Romi, re dei Latini, il quale aveva cacciato gli Etruschi, che dalla Tessaglia erano passati nella Lidia e dalla Lidia in Italia. [2] Neppure quelli che secondo una tradizione più genuina sostengono che Romolo sia quello che ha dato il nome alla città, sono d'accordo sulla sua origine. Alcuni infatti dicono che era figlio di Enea e di Dessitea, figlia di Forbante, e che fu condotto da bambino in Italia insieme con suo fratello Romo. Nel fiume in piena, mentre le altre imbarcazioni fecero naufragio, quella in cui erano i due fanciulli fu spinta dolcemente verso un banco erboso, ed essendosi questi inaspettatamente salvati, quel luogo chiamarono «Roma ». [3] Altri dicono che Roma era figlia di quella troiana che, andata sposa a Latino, figlio di Telemaco, generò Romolo. Altri dicono che lo generasse Emilia, figlia di Enea e di Lavinia, congiuntasi con Marte. [4] Altri infine raccontano fatti favolosi sull'origine di Romolo; per esempio, che a Tarchezio, re degli Albani, violatore di ogni legge e crudelissimo, apparisse in casa uno straordinario fantasma: apparve un fallo levatosi dal focolare e vi rimase per molti giorni. V'era in Etruria un oracolo di Tethys, da cui fu portato a Tarchezio il responso che una vergine doveva unirsi con quel fantasma: sarebbe infatti da lei nato un figlio famosissimo, che si sarebbe distinto per virtù, fortuna e forza. [5] Tarchezio riferì il vaticinio a una delle sue figlie e le ordinò di congiungersi col fantasma, ma lei sdegnosamente rifiutò e mandò al suo posto una serva. Tarchezio, come venne a sapere il fatto, mal sopportando la cosa, le fece arrestare tutt'e due col proposito di mandarle a morte. Ma Vesta, apparsagli in sogno, gli proibì di farle morire. Allora Tarchezio ingiunse alle due ragazze di tessere in prigione una tela: quando l'avessero ultimata, avrebbe concesso loro di sposarsi. [6] Quelle dunque di giorno tessevano, ma di notte altre, per ordine del re, disfacevano la tela. Quando l'ancella partorì due gemelli, avuti dal fantasma, Tarchezio li consegnò a un certo Terazio con l'ordine di ucciderli. [7] Quello li portò via e li depose vicino al fiume. Poi una lupa che abitualmente frequentava il luogo, porse loro le mammelle e uccelli di ogni sorta, portando pezzetti di cibo, imbeccavano i due piccini, finché un pastore vide con meraviglia questo fatto e portò via con sé i bimbi. [8] Salvati in tal modo, quando furono cresciuti assalirono Tarchezio e lo sopraffecero. Questa storia è narrata da un certo Promazione, che ha scritto una Storia d'Italia.


[3,1] Ma la storia maggiormente accreditata e fondata su moltissime testimonianze relative ai più importanti particolari, è quella che per primo pubblicò per i Greci Diocle di Pepareto, che anche Fabio Pittore seguì in moltissimi punti. Ci sono anche in questa storia alcune varianti; [2] ma in generale è press'a poco la seguente. La successione dei re d'Alba, discendenti da Enea, era toccata a due fratelli, Numitore e Amulio. Questi divise tutta l'eredità in due parti, mettendo da una parte il regno, dall'altra le ricchezze e l'oro portato da Troia. Numitore scelse il regno, [3] ma Amulio, avendo le ricchezze e acquistando per mezzo di queste maggiore potenza di Numitore, facilmente gli sottrasse il regno. Temendo poi che dalla figlia di lui potessero nascere dei figli, la fece sacerdotessa di Vesta, destinata a vivere per sempre nubile e vergine. Questa da alcuni è chiamata Ilia, da altri Rea, da altri ancora Silvia. [4] Non molto tempo dopo si scoprì che era incinta, contro la legge stabilita per le Vestali. Antho, la figlia del re, ottenne dal padre con le sue preghiere che non fosse punita con la pena capitale. Ma fu rinchiusa, lontana da ogni contatto col mondo esterno, perché non avesse a partorire di nascosto di Amulio. E dette alla luce due gemelli straordinari per grandezza e bellezza. [5] Perciò Amulio nutriva paura ancora maggiore e ordinò a un servo di prenderli e di gettarli via. Alcuni dicono che costui si chiamasse Faustolo, altri invece ritengono che così si chiamasse non lui, ma quello che li raccolse. Avendo dunque messo i due piccini in una cesta, il servo discese sulla riva del fiume per gettarveli, ma vedendo che le sue acque erano gonfie e impetuose, ebbe paura di accostarsi al fiume e, depostili vicino alla riva, se ne venne via. [6] Aumentando la piena del fiume, l'acqua prese e sollevò dolcemente la cesta e la portò in un punto moderatamente piano, che ora chiamano Cermalo, ma anticamente Germano, a quanto sembra perché anche i fratelli vengono chiamati «germani».


[4,1] V'era lì vicino un fico, che chiamavano Ruminale, o da Romolo, come i più ritengono, o perché vi facevano la siesta a causa della sua ombra le bestie «ruminanti», o — soprattutto — per l'allattamento dei due piccini, poiché gli antichi chiamavano «ruma» la mammella e Rumina chiamano una dea che ritengono abbia cura dell'allevamento dei bambini: a lei sacrificano senza vino e sopra le sue vittime versano libagioni di latte. [2] Raccontano che ai gemelli ivi giacenti una lupa desse il petto e che un picchio collaborasse con lei al loro nutrimento e li guardasse. Si ritiene che questi animali siano sacri a Marte, e il picchio è in grande venerazione e onore presso i Latini, onde si prestò particolare fede alla madre dei due bimbi, la quale affermava di averli generati da Marte. [3] Dicono tuttavia che questo a lei capitasse per un inganno subito, essendo stata deflorata da Amulio, che le si presentò in armi e la rapì. Il nome poi di chi li allevò, per la sua ambivalenza, offrì alla storia dei fatti la probabilità di deviare verso il leggendario. [4] «Lupe» infatti chiamavano i Latini tanto le femmine del lupo quanto le donne che si prostituiscono, e tale era la moglie di Faustolo, che fu quello che allevò i piccini: si chiamava Acca Larenzia. [5] In suo onore celebrano sacrifici i Romani e a lei offre libagioni nel mese di aprile il sacerdote di Marte: chiamano questa festa Larentalia....

http://www.tecalibri.info/P/PLUTARCO_vite.htm

 

2 commenti:

Paola Tassinari ha detto...

Non mi ricordo chi, era uno di Cesena , raccontava con perizia e con spiegazioni erudite come era nato il nome Roma.
Egli diceva che al quadrilatero della città fu messo il nome di Romagna, fu scolpita una lastra col nome Romagna ma un fulmine la colpì , e la spezzò , in modo che rimase solo il nome Roma!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Lo vedi quanto i romagnoli amano Roma.

pierperrone ha detto...

Ciao, Tea.
Oggi Roma festeggia i suoi 2762 anni. E' eccezionale.
Vorrei farlo davvero il posto d'amore su questa città.
Che è si l'infedele compagna pubblica di cui ho scritto una volta, ti ricordi? Ma è anche una compagna che ti lascia senza fiato per la sua bellezza intensa, profonda.
E' una compagna che ti conquista il cuore perchè sa parlare delle cose eterne. Come Mnemosyne parlava con Prometeo, in quegli altri post (che erano alcune parti di un vecchio lavoro che avevo quasi finito di scrivere).
Mi piacerebbe scrivere di Roma. Ma quando vado a passeggio ed alzo gli occhi verso i vecchi palazzi, vedo per ogni dove le targhe di famosi personaggi, poesti, scrittori, pensatori, filosofi, artisti di ogni Arte, che hanno consacrato alla Città Etern parte dei loro giorni lasciando a Roma o su (riguardo a) Roma segni indelebili.
Non vorrei cimentarmi con cotante altezze (se posso dire così).
Perciò ho scelto le parole di Plutarco per raccontare la nascita della città.
Parole antiche.
Raccontate dalla Signorina Storia.
Sussurrate dalla Madre delle Muse, Mnemosyne, nelle orecchie titaniche di Prometeo. Parole tanto seducenti da convincere il dio a farsi Uomo. Per sempre!