19 settembre 2009

...ON THE ROAD...


L'attrazione che puoi sentire dalla terra umida, dall'acqua che scorre, dalle forze che creano il ghiacciaio perenne, dall'aguzza cima del monte che perfora le nubi, dalle case che si ordinano secondo lo scorrere del fiume della storia, dagli uomini che ti sorridono per offrirti gentilmente un grappolo d'uva o un cestino di more... ...
Mi sono appoggiato, stanco, a riposare le gambe, distendendomi sull'umida terra, accolto dallo strato soffice della verde erba di una radura.
Il cielo era il mio compagno, il mio schermo, il mio unico panorama.
Stavo sentendo il sangue rifluire, dopo lo sforzo di qualche ora di cammino, intenso per me che sono abituato a rigirarmi sul fulcro di una poltrona. Stavo ascoltando gli schiamazzi delle persone che si riposavano, un pò più in là, dalle fatiche della passegiata e che sembravano non riuscire a stare neanche ferme, perturbate dalla irrefrenabile vibrazione della vita.
Io, pensavo, riuscivo a stare immobile, a concentrare la mia esistenza fra l'accogliente forma della terra, sotto il peso della mia schiena, e l'eterea leggerezza delle nuvole che correvano lassù, nel cielo.
Ad un tratto mi sono accorto che stava accadendo qualcosa di irreparabile. La terra, sotto il mio corpo, si sforzava di abbracciarmi, di tratenermi, di tenermi legato a sè. Era una stretta d'amore, un'attrazione fatale, una relazione materna.
Sentivo la mia pelle, rinfrescata dal soffio del vento soffice, che mi chiedeva di lascarla affondare in quell'abbraccio. Sentivo che non iusciva neanche più a trattenere la sua impazienza, la sua insistenza. Il suo desiderio si trasformava in tenere radici, candide, fragili, sottili.
Ma più prestavo attenzione, più quell'attrazione si consolidava, e lo spazio, già reso inesistente dalla forza di gravità che incollava le mie salle alla madida terra, si rendeva ancora più impercettibile, si ritraeva ogni distanza e si assottigliava ogni differenza...
Ero la terra, ormai, o lei era me. E' lo stesso, cosa vuoi, era la stessa cosa.
Io e la terra eravamo entrati in una forma di attrazione che i chimici ancora non conoscono, nè i fisici, nè nessun altro.
Allora ho capito cosa si può provare a morire e diventare vita ancora più sanguigna.
Ho sentito che il niente siamo noi ad inventarlo, a riempire di quello strano nulla inesistente il nostro pensiero, quando ci mettiamo di fronte alla morte.
E' una cosa fisica, non posso spiegarla. Il nostro copro è come il bulbo di un tulipano. Muore e germoglia. Se non muore, non può germogliare.
La terra è calda, umida, feconda, come il grembo di una madre.
Le radici sono come il seno che allatta.
Il cielo è luminoso, come il seme che feconda.
Non c'è spazio a separare quello che nasce e quello che muore, neanche un interstizio impercettibile, non c'è distanza, non c'è differenza, non c'è tempo a separare i due momenti.
Un unico istante è quello nel quale il germoglio che sboccia saluta il seme che muore...
... Lungo la strada che va da Roma a Roma si attraversano molte frontiere.
E' la strada di un viaggio verso una dimensione del mondo quasi impercettibile.
Il percorso, sulla mappa del navigatore, era lungo. Non si va da Roma a Roma così facilmente.
Si passano montagne, si attraversano fiumi, di percorrono autostrade, si solcano laghi.
Si affrontano il gelo del ghiacciaio, il buio delle carverne, la cocente sferzata dei raggi del sole, il riversarsi delle cascate ed il gorgogliare delle acque che si precipitano nell'orrido della gola dei monti.
Si scende nei cunicoli delle miniere, e si attraversano i labirinti delle città.
Ci si ristora all'ombra degli abeti o con la freschezza argentina di una fontanella.
Ci si sperde nei labirinti di immense città sconosciute, o nel rombare del traffico su un'autostrada intasata.
E' un lungo viaggio e porta più lontano di quanto non dica il chilometraggio della distanza sulla superficie terrestre.
E' che, se si scende nelle profondità dell'animo, le distanze perdono la consueta percezione. Un solo metro potrebbe apparire come un'immensità impercorribile.
Mille chilometri, al contrario, potrebbe restare così superficiali da non riuscire neanche a far abbassare la lancetta della serbaatoio.
E' la profondità. E potrebbe dare una sensazione di spaesamento tale da generare il panico, in chi non avesse chiaro a quale boa aggrapparsi.
Ce ne sono due, dico io.
La prima boa siamo noi.
Ognuno di noi, inteso come il nucleo, singolo o multiplo, nel quale sente risieda la propria naturale dimensione.
Ognuno di noi sente la proprio completezza. A volte di fronte solo a sè stesso. A volte insieme ai suoi cari. Mogli. Mariti. Fugli. Amici. Il nucleo è composto secondo il legame cimico più consono all'animo di ognuno. Nessuno scienziato potrà mai conoscere o divulgare la formula più perfetta.
Quel nucleo è la boa.
A quella si deve tenere ben stretto chi non vuole affondare nel viaggio che va da Roma a Roma, attraversi gli impervi territori dell'animo.
Un altro sistema di boe, a ben vedere è disseminato lungo il percorso.
Sono i traccianti della rotta dell'uomo.
Il percorso per terra o per acqua,non potrà mai essere compiuto senza incontrare sul proprio cammino i gallegianti delle altre anime che vagano nelle profondità del mondo.
A quelle anime ci si deve agganciare...
... Il viaggio è un'esperienza umana.
Non puoi viaggiare senza lasciare la tua base di partenza. La tua casa, la tua via, il tuo quartiere, la tua città... la tua regione, il tuo paese... la tua terra, la tua gente...
Quando lasci la tua casa non ti accorgi di varcare una soglia che ti porta verso una diversità che potrebbe essere addiritttura annichilente.
Come quando viaggi da una nazione all'altra, non ti accorgi che stai lasciando un mondo, per entrare in un altro.
Non ti accorgi. Non ti accorgi.
No. Intendo dire, che anche se vai da un mondo all'altro non troverai mai, per quanta attenzione tu possa mettere nell'osservare, un segno che ti indica il confine, la fine di quel mondo che ti sembrava familiare e l'inizio di quell'altro, che vorresti definire diverso.
Ecco, è così che stanno le cose.
Lasci casa? Dove, puoi dire che finisca casa tua?
Sei sicuro che la mappa catastale definisca correttamente il confine di quella che senti come casa tua?
Non ti capita mai di sentirti a casa tua in un posto che non rientra fra le tue proprietà?
In un parco pubblico, con un libro fra le mani, o guardando il cielo, o in riva al mare, proprio lì dove ognilinea di demarcazione è per definizione cadùca?
A me capita.
Che grande benefica sensazione di sollievo davano le frontiere e le dogane!
Lì, lì, su quella linea, passa il confine.
Quella striscia segna la differenza fra il conforme ed il diverso.
Si potrebbe dire, fra il noto e l'ignoto.
Ora, fra molti paesi, quella linea è stata cancellata e, quindi, quel sollievo non si percepisce più.
Ma quelle linee delimitavano anche un'area che poteva essere abitata solo dall'incubo. Quella striscia di terra che non apparteneva a nessuno e che separava i due posti di frontiera delle due nazioni confinanti.
Fra una dogana e l'altra, fra una nazione e l'altra, c'era una dimensione di nessuno.
Un incubo! Se ti si ferma la macchina lì. Se muori lì. Se cerchi qualcuno lì.
Lì non ci puo essere niente e nessuno.
Lì non si muore nè si prova niente.
Lì, quella striscia di terra sulla quale stai camminando, non c'è, in realtà, non esiste.
Ma io l'ho sempre pensata in un altro modo.
Quella straiscia è la dimensione vera.
Lì nessuno ha potuto mettere il paletto di una proprietà o ha potuto estendere lo stato del diritto o la tradizione di un rito.
Quello è l'unico spazio che libero che è rimasto al mondo.
Quelle esigue strisce sono, forse, una chanche di libertà.
Lì dentro, certo, nessuno può fermarti, nè puoi sentirti clandestino.
Lì non possono respingerti, anche se non volessero accoglierti...
... Per finire, c'è anche un altro luogo nel quale si può compiere il proprio viaggio delle vacanze.
Nel fondo degli occhi di un uomo.
Ho il vizio di guardare spesso negli occhi di chi mi sta vicino, di chi mi passa accanto.
Occhi celesti, verdi grigi, neri o marrò.
Ma quelle differenze di colore non mi suggestionano molto.
Mi colpisce di più un'altra osservazione.
Guardo nel foondo e vedo l'anima. Per chi ce l'ha.
Qualche volta mi sorride. Spesso va di fretta, o è distratta.
Ma io uno sguardo ce lo getto lo stesso, magari facendo finta che sia di sfuggita.
Sono molto interessato, invece.
Faccio un vero e proprio studio. Veloce, si, ma accurato, completo.
Certo, a volte rimango affascinato, mi piacerebbe eimanere assorto lì, in quegli occhi, e perdermi, a lungo,ad osservare quel paesaggio così dolce.
Qualche volta mi ritraggo d'improvviso, forse non capisco bene il perchè, ma sento che devo farlo, per discerezione, o per una sensazione di sgomento, o per paura, addirittura.
Ma c'è una cosa che non sono mai riuscito a fare, per quanti esercizi abbia provato.
Non sono mai riuscito ad indovinare la razza di una persona, la sua religione, il colore della sua pelle, la sua lingua incomprensibile, solo guardando il fondo dei suoi occhi.
E più mi sembra familiare l'esploirazione di quegli occhi, più sembrano confidarmi la propria storia, tengosono stretto quell'ultimo, forse inutile, segreto...
Ecco il viaggio fotografico:
http://picasaweb.google.it/pierperrone/VACANZEESTATE2009?feat=directlink

1 commento:

Paola Tassinari ha detto...

Grazie, della fiducia che elargisci agli amici del web.
Le foto della tua vacanza sono bellissime, come bellissima è la tua famiglia.
Sei troppo triste, a volte.
Quando la tristezza arriva, guarda queste foto e considerati molto fortunato.
No, non fortunato, te lo sei meritato.
Un abbraccio a te e llla tua famiglia.
PS Hai un giovanotto dallo sguardo intelligente ed una moglie dallo sguardo dolce e comprensivo.
Mi piacete tutti.
Scusa......ma lo sai che io sono un po' naif, e dico quello che penso anche se non richiesto.
Un beso.